La creatività ai tempi dello smart working

SMARTWORKING

di Monica Rubini

La pandemia ha cambiato le carte in tavola nel mondo del lavoro e lo smart working è ormai diventato un imperativo per un elevato numero di lavoratori. Ciò che in tempi di pre-covid sembrava prerogativa e privilegio di liberi professionisti e manager ora è diventato un nuovo approccio al lavoro assai diffuso.

Volenti o nolenti. Un fenomeno sociale, non solo professionale, che sta generando un radicale cambio di mentalità e di modalità. Tra costi e benefici la bilancia sembra pendere, nel pensiero più accreditato, dalla parte dei benefici.  

“Effetto smart working”

Chiariamo innanzitutto che smart working non è sinonimo di lavoro da casa. “Smart” traduce una modalità  intelligente, flessibile, che comporta l’utilizzo di nuove tecnologie e di capacità innovative, aspetti che sembrano i presupposti ideali per incrementare i processi creativi.  Enrico Verga, in un articolo su “Il sole 24 ore” del 2019, definisce  lo smart working una “scrivania senza catene”.

Fermo restando le opportunità evidenti, a bilancio del primo anno di massiccia fruizione di questa modalità, nonostante l’essere “liberi da catene”, iniziano a emergere inevitabili ripercussioni sul benessere psicofisico, sulla gestione delle relazioni, su produttività e creatività.

Creatività patrimonio di tutti

È  proprio sulle capacità creative che vogliamo soffermarci. Innanzitutto quando parliamo di creatività non ci riferiamo ai soli lavori tipicamente considerati tali, ma a quelle abilità che mettiamo in atto anche in quelle tipologie di lavoro che sembrano esserne privi.

Quando generiamo idee, creiamo innovazione, progettiamo, compariamo, sperimentiamo, mettiamo infatti in campo le nostre capacità creative. La creatività è un importante carburante nell’ambito lavorativo e per farne rifornimento abbiamo bisogno anche di relazioni umane, che non possono rimanere circoscritte in un riquadro dei nostri  dispositivi.

Abbiamo bisogno gli uni degli altri

L’iper connessione non sempre ci restituisce una reale connessione con gli altri ,e non sempre favorisce la costruzione di relazioni di gruppo. Lavorare da remoto da un lato ci tutela dalle dinamiche conflittuali della convivenza e da eventuali ambienti opprimenti o poco stimolanti, dall’altro però ci priva degli inevitabili stimoli che la presenza fisica dell’altro ci rimanda.

La diminuzione dell’interazione fisica riduce inevitabilmente lo scambio di idee spontaneo, la contaminazione delle esperienze e ridimensiona  tutto ciò che rende il luogo di lavoro un ambiente creativo e pulsante.
Fra le mura domestiche è vero che ci sentiamo più a nostro agio, perché evitiamo quelle dinamiche a volte costrittive, conflittuali e svalutanti, e questo può lasciar maggior spazio alla libera espressione e gestione dei nostri flussi mentali.  Ma siamo sicuri che questo generi solo benefici?

Il carburante della socialità

In un’indagine condotta da The Innovation Group, il 56% delle imprese coinvolte ha rivelato che  “i problemi delle persone legati all’isolamento sono al primo posto fra gli ostacoli da superare per lo smart working.
Tanto che, anche i più asociali tra noi sembrano riscoprire una natura socievole dopo aver vissuto interminabili sessioni online, simili a scacchiere con caselle  “bianche” e “nere”, tra chi sceglie di apparire e chi no, con il telefono come unico compagno inseparabile e un flusso incessante di messaggistica a far capolino sui vari dispositivi.

Tutti elementi che, se non gestiti correttamente e con il dovuto equilibrio, riempiono la mente di informazioni e contenuti distraenti che non ci consentono di trovare gli spazi necessari per accogliere stimoli creativi.

I processi creativi tra online e onlife

Proviamo a pensare a cosa comporta lavorare nelle nostre case, isolati dal contesto al quale eravamo abituati, con interazioni tutte digitalizzate. Di cosa ci avvantaggiamo, e di cosa ci priviamo? Sicuramente beneficiamo di una maggior possibilità di concentrazione, di una riduzione di elementi di distrazione oltre a una scansione del tempo in maggior autonomia.
D’altro canto, non possiamo non pensare a quanto gli ambienti di lavoro abbiano la capacità di attribuire significato ai concetti, di fare da cornice nell’incontro e nello scambio di sguardi, gesti, emozioni, valori, idee, tutti elementi capaci di creare relazioni, attivare collaborazioni e innescare stimoli creativi.
In questi spazi fisici abbiamo la possibilità di osservare il modo di lavorare di altri, di lasciarci ispirare dallo scambio di idee e riflessioni, di lasciarci contaminare da ciò che si osserva, si ascolta e si percepisce.

Gli occhi si dice siano lo specchio dell’anima. Se a uno sguardo aggiungiamo anche un sorriso, un’espressione del volto o un gesto empatico, ci rendiamo conto della loro importanza per trasmettere messaggi che, quando mediati frequentemente da uno schermo, perdono in potenza e in energia.

Pensiamo a quante conversazioni occhi negli occhi sono state sostituite da mail, commenti in chat,  emoticons,  interazioni filtrate da un referente,  lunghe sessioni a schermo spento in cui non c’è più nemmeno la volontà di guardarsi dietro a uno schermo. Quanto tutto ciò possa avere una ricaduta in ognuno di noi sul flusso di stimoli creativi è soggettivo, ma nessuno ne è totalmente esente.

Quando la creatività è smart?

La rarefazione di rapporti sociali, la distanza fisica da ambienti lavorativi intrisi di significati, ritualità e codici condivisi  può ridurre la piena espressione di sé e delle proprie idee. La mediazione di uno schermo impedisce di godere anche di tutte quelle occasioni e quelle dinamiche utili per innescare stimoli e ispirazioni che non si possono trovare volgendo lo sguardo solo verso se stessi, o circoscritti da uno schermo di un dispositivo.

Non vogliamo con questo rinnegare l’indubbia utilità e le evidenti opportunità dello smart working, abbiamo però la necessità di trovare un equilibrio tra stimoli reali e stimoli digitali e non rimanere “rinchiusi” dentro un mondo a prevalenza digitale che offre molto, ma anche toglie quelle innegabili sollecitazioni che solo la relazione fisica con il mondo è in grado di generare.

Se andiamo a scomodare un genio indiscusso e talento universale del Rinascimento come Leonardo, la storia ci rammenta come avesse associato la creatività alla capacità di osservazione del mondo esterno e solo successivamente di immaginazione dello stesso. La sua forza creativa è stata quella di connettere le esperienze esterne con quelle del suo immaginario, riuscendo così a creare le più diverse rappresentazioni delle stesse.

Per essere creativi abbiamo bisogno di essere aperti agli stimoli, sia a quelli originati dal nostro ambiente, sia a tutti quelli provenienti dall’esterno. La creatività ha bisogno di conoscenza e competenza e l’essere connessi in tempo reale ci ha regalato l’indubbia possibilità di arricchirci di saperi, spaziando su orizzonti senza limiti, e di accrescere la nostra rete di contatti. Impensabile fino a qualche decennio fa.

Nel continuare ad ampliare lo sguardo verso orizzonti digitali pieni di stimoli e risorse, non dobbiamo però dimenticarci del valore della prossimità, della vicinanza, del contatto con la realtà fisica come fonti ispiratrici.

Monica Rubini

Nella doppia veste di Content Specialist, Digital Restylist e Counselor Multiculturale mi occupo di Comunicazione e Relazione, prima per passione, e poi per professione. Il mio pane quotidiano è fatto di parole, persone e immagini. Amo dare valore, ascolto e attenzione alle persone, alle loro storie e ai loro progetti: la possibilità di intraprendere nuovi percorsi, scoprire nuove identità a cui dar voce, esplorare mondi diversi e “indossare” sguardi nuovi.

Condividi sui social

Potrebbero interessarti anche: