di Elena Braghin
Il nostro modo di comunicare nella quotidianità è in continua evoluzione e rispecchia i cambiamenti sociali che avvengono intorno a noi.
Il linguaggio, scritto e parlato, è vivo e si adatta alle nostre necessità.
Usare un linguaggio inclusivo significa adottare una comunicazione che non esclude nessuno. Alle imprese e ai professionisti è richiesta sempre maggiore attenzione al modo in cui veicolano i loro messaggi e a come si pongono nei confronti del loro pubblico.
In questo articolo vedremo come si applica la comunicazione inclusiva e perché è importante nella nostra società.
Nessuno dev’essere escluso
Il corretto uso del linguaggio inclusivo consente di veicolare un messaggio facendo sentire ogni persona rappresentata nella sua individualità di valori e di scelte. Più è ampio lo spettro e maggiori sono i colori che possiamo comprendere.
Capire se il testo a cui stiamo lavorando è inclusivo non è semplice. Serve uno sforzo empatico e la capacità di adottare il punto di vista soggettivo ed emotivo di tutti i possibili destinatari.
In fase di realizzazione di un testo è utile porsi delle domande, ad esempio: ci stiamo ponendo in modo discriminatorio o offensivo verso una parte della popolazione? Ciò di che esprimiamo è viziato da pregiudizi o da una posizione di privilegio?
Come costruire un linguaggio condiviso?
Vi è mai capitato di subire una qualche forma di esclusione? Nel mondo digitale è molto frequente. La causa è l’uso di un linguaggio discriminatorio che si manifesta in molti modi diversi e affligge l’esperienza di molti utenti.
I professionisti UX, coloro che si occupano di progettare la User Experience, ossia cercano di realizzare il percorso digitale che renda l’esperienza dell’utente la migliore possibile (sia in termini di efficienza che di qualità), hanno cercato una soluzione al problema dell’inclusività del linguaggio.
La comunicazione inclusiva nei form online
I form online in cui vengono richiesti dati personali sono il campo minato della comunicazione inclusiva.
Sesso e genere non sono la stessa cosa: il sesso è determinato alla nascita, ma il genere è un’identità che si conforma al sentire della persona.
Per questo motivo, nei form online è sempre maggiormente diffuso l’inserimento di altre opzioni oltre a M/F (maschio o femmina). Secondo la UX Designer Valentina Di Michele, l’ideale sarebbe lasciare un terzo campo libero, in modo che chiunque ne abbia la necessità possa autodefinirsi. Infatti, anche le opzioni aggiuntive “soggetto binario / non binario / altro / preferisco non dirlo” potrebbero essere percepite come una forzatura o essere lette in chiave negativa.
Fortunatamente, in molti contesti questo campo di compilazione non è obbligatorio ed è richiesto solo quando strettamente necessario.
La questione del pronome
Più complessa è la questione del pronome. Come instaurare una comunicazione inclusiva con chi non si sente rappresentato dai pronomi lui/lei?
Poco tempo fa, ha fatto molto parlare la scelta dell’aggiornamento del form di contatto della Casa Bianca, all’indomani dell’insediamento del nuovo Presidente. Il nuovo form aggiunge nella scelta dei pronomi diverse opzioni:
La soluzione più semplice per evitare discriminazioni è chiedere, permettendo alle persone con cui vogliamo interloquire di definire sé stesse come preferiscono, per rivolgerci a loro nel modo più opportuno.
Qualcuno avrà notato che su alcuni social, soprattutto Twitter e Club House, le persone stanno iniziando ad inserire i pronomi (She/Her, He/Him, They/Them) in bio accanto al nome. È una prassi diffusa nel mondo anglosassone, e che inizia ad apparire anche su alcuni profili nostrani, il cui scopo è proprio quello di instaurare una comunicazione inclusiva che rispetti le identità personali.
Il plurale e l’inclusività dei testi italiani
In Italia si stanno diffondendo diverse prassi testuali utili ad evitare le discriminazioni e abbracciare l’inclusività.
L’italiano, come le altre lingue romanze, non permette l’uso del neutro perché utilizza sostantivi genderizzati, si ricorre così al “maschile sovraesteso” per simulare una terminologia neutra, ma che evidentemente neutra non è.
La prima e più diffusa prassi per evitare la genderizzazione dei contenuti e renderli maggiormente inclusivi è quella di riorganizzare il testo in modo da renderlo il più neutrale possibile. Quando non è possibile si usa spesso l’indicazione di entrambe le forme (maschile e femminile). Questa scelta non è, però, totalmente inclusiva, perché esclude chi non si sente rappresentato nella scelta tra l’uno e l’altro sesso. Per questo motivo, si leggono, sempre più spesso, testi con parole troncate e l’aggiunta di un simbolo, come l’asterisco (*) o la chiocciola (@).
L’uso di schwa (ǝ), simbolo appartenente all’alfabeto fonetico internazionale, è un altro modo di realizzare una comunicazione inclusiva e gender neutral, che si differenzia dagli altri simboli per la possibilità di essere pronunciato (seppur non facilmente) ed essere integrato anche nel linguaggio parlato.
Vera Gheno è una delle principali sostenitrici dello Schwa nei testi, suggerimento inizialmente nato come protesta scherzosa per poi essere annoverato tra le soluzioni possibili di un linguaggio inclusivo e non sessista (per approfondire potete leggere il suo libro “Femminili singolari”).
Attenzione al “washing”
La comunicazione inclusiva rispecchia una necessità sociale. È importante comprenderne le motivazioni e abbracciarne l’ideologia per risultare credibili agli occhi del pubblico.
Il pink-washing, il rainbow-washing, così come il green-washing, non pagano. Le aziende, gli imprenditori e i professionisti che cercano di avvantaggiarsi di una questione sociale ampiamente discussa, solo per il proprio tornaconto, fingendosi interessati per accattivare il consumatore sensibile al tema alla fine vengono smascherati.
Letture per approfondire
Di seguito alcune letture consigliate per approfondire i temi trattati:
- “Costruire un linguaggio inclusivo” di Valentina Di Michele, su www.officinamicrotesti.it
- “Linguaggio nclusivo: cosa significa genere neutro?” di Ros Palombino, su www.rosgipalombino.medium.com
- “The White House Contact Form Now Asks Users To Share Their Pronouns” di Wren Sanders, su www.them.us
- “Il Neutre barthesiano in un’ottica di genere. Rappresentazioni del femminile in Le Figaro, Le Monde, Libération (2003)” di Silvia Nugara, in Quaderni di Donne e Ricerche, www.cirsde.unito.it
- “Una lingua non-sessista. Sugli usi linguistici non ragionevoli e sul tentativo di correggerli” di Rossana de Angelis, su www.iaphitalia.org
Per un approfondimento sull’etnografia digitale vi consiglio di visitare il sito www.beunsocial.it a cura di Alice Avallone
Se siete alla ricerca di alcuni decaloghi per una migliore comunicazione che sia inclusiva, non violenta e non sessista, vi consiglio quelli di Parolenonostili, HellaNetwork e Zanichelli.
Elena Braghin
Giornalista pubblicista, Copywriter Freelance, Web Content Editor.
Giurista di formazione, Storyteller per passione.
www.elenabraghin.com